Abbiamo deciso di predisporre una sezione dedicata ai professionisti. Incontreremo per voi startup coach, mentor, imprenditori, influencer e professionisti del settore per sciogliere i vostri dubbi e per farvi conoscere “i segreti del mestiere”. La nostra prima intervista è con Raffaele Gaito. Scopriamo subito chi è!
Oggi abbiamo il piacere di intervistare un professionista nel settore del growth hacking, un argomento ancora poco conosciuto nel mondo delle startup.
L’influencer che abbiamo incontrato è Raffaele Gaito, imprenditore digitale, startup mentor e autore del libro “Growth Hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo business”, best seller su Amazon e che ha contribuito al libro di Massimo Ciaglia, “The Startup Canvas. Il metodo per trasformare una idea in un successo sicuro”.
Seguitissimo sui social, affianca inoltre aziende, startup e professionisti nei loro progetti. A 15 anni ha scritto la sua prima riga di codice, a 17 ha aperto il suo primo blog e a 20 ha lanciato la sua prima azienda. Oggi è anche partner di YourDigital.
Ma ora veniamo all’intervista a Raffaele Gaito e che tutti stavano aspettando.
L’Intervista al Professionista Raffaele Gaito
1) Ciao Raffaele e grazie per aver accettato la nostra intervista. Veniamo subito al cuore del nostro incontro. Nel 2010 Sean Ellis scrisse un articolo nel suo blog dal titolo: “Find a Growth Hacker for your startup”. Ad oggi, dopo 8 anni dalla sua pubblicazione, quanto credi che questa figura si sia affermata nell’ecosistema startup? E perché non si è “posizionata” del tutto, vista la forte correlazione che esiste tra startup e growth hacking?
La correlazione tra growth hacker e startup c’è stata solo in fase iniziale. Sean Ellis si riferiva con quel suo post alle startup, perché erano le aziende con cui lui lavorava e che, per ovvi motivi, erano più aperte verso questo tipo di figura e di metodologia.
La verità è che nel tempo il growth hacking è maturato parecchio ed è stato adottato anche da aziende con business tradizionali (le cosiddette PMI) e aziende di dimensioni più grandi (le corporate). Ad oggi si parla di Growth Hacking in realtà come Coca-Cola, IBM, Intuit, Heineken, ecc. Non proprio startup!
Nonostante questo le startup, per propria natura, sono le aziende che beneficiano maggiormente dell’utilizzo di questa metodologia perché per definizione hanno scarsità di risorse, soldi e tempo in primis.
2) L’obiettivo del growth hacker e del marketer può essere assimilato ad uno stesso valore o obiettivo. Entrambi vogliono raggiungere la crescita, la visibilità e quindi il successo dell’azienda. Ovviamente l’approccio differisce. Come pensi che la figura del growth hacker possa convivere con quella del marketer per le realtà con poco budget, che quindi per ottimizzare dovrebbero fare una scelta?
Certo che sono due figure che possono convivere. Nessuno ha mai detto che il marketing è morto o che il marketing è stato sostituito.
Ci sono due aspetti da considerare nella risposta:
1. Il Growth Hacking non è solo marketing. Si potrebbe lavorare potenzialmente per mesi (se non anni) sul processo di growth hacking senza mai intervenire su aspetti di marketing. I casi studio più famosi al mondo sono tutti basati su attività di prodotto e, anche per esperienza personale con i miei clienti, confermo la cosa.
2. Il Growth Hacking lavora nel territorio dell’incertezza, muovendosi con tempi veloci e budget bassi. Ma una volta che un esperimento è stato validato, se si tratta di un’attività di marketing, potrebbe benissimo passare al reparto marketing per farlo scalare e mettere a sistema.
Ovviamente questa configurazione ha senso in una realtà più strutturata e più grande. In una piccola azienda o in una startup, solitamente il team di GH basta e avanza.
3) In Silicon Valley la figura del growth hacker è tra le più richieste. In Italia si sta affermando sempre di più questa figura. Ma probabilmente qui il problema per questi professionisti non è l’occupazione, ma che non siano così numerosi, visto il background richiesto. Non a caso un recente studio condotto da Modis Italia parla di digital mismatch, ovvero la carenza di profili professionali rispetto a quelli che il mercato potrebbe assorbire. Basti pensare che nella realtà ICT il 22% delle posizioni aperte in Italia non vengono ricoperte da personale con le skills richieste. Cosa ne pensi a riguardo?
Posso affermare che sempre più laureandi e neo laureati mi contattano per sapere come diventare growth hacker. Quindi se da un lato è vero che in Italia siamo pochini, c’è anche da dire che è un settore nato letteralmente da una manciata di anni, dove un paio di noi si sono impegnati nella diffusione dell’argomento fino a farlo diventare (relativamente) “mainstream”.
Quindi da un lato inizio a vedere gli annunci di aziende che chiedono senza timore la figura del growth hacker e, finalmente, dall’altro lato anche giovani (e meno giovani) che si lanciano in una nuova sfida cogliendo le opportunità del mercato.
Ovviamente parliamo di figure junior nel 90% dei casi per il semplice fatto che solo una manciata di persone ha un’esperienza superiore ai 4-5 anni in un settore che è letteralmente nato 8 anni fa.
Ma visti i presupposti sono molto fiducioso nel futuro!
4) Quanto guadagna orientativamente un growth hacker?
È impossibile rispondere a questa domanda, così come sarebbe impossibile rispondere alla domanda “quanto guadagna un programmatore” o “quanto guadagna un graphic designer”. Servirebbe capire se è una figura junior o senior, quanti anni di esperienza ha, se fa questo lavoro come dipendente o come libero professionista, se lavora in una startup o in una grande azienda e così via.
Quello che posso dire con certezza è che in realtà estere consolidate sono tra le figure più pagate (e più richieste sul mercato). Negli USA lo stipendio annuo si aggira intorno ai 140k 180k l’anno, mentre in Inghilterra e Olanda (la patria europea del Growth Hacking) parliamo di cifre intorno agli 80k l’anno.
In Italia è decisamente presto per stilare una media, visto che ci contiamo sulle dita di una mano.
5) Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e come ti vedi tra 5 anni?
Per predisposizione naturale sono sempre alla ricerca del cambiamento e di nuovi stimoli. Nei prossimi anni vorrei concentrarmi ancora di più sugli aspetti di formazione e di public speaking. Trovo un immenso valore nel trasmettere le conoscenze ed è una delle attività che mi da di più in quanto professionista.
Ho diversi progetti in mente da questo punto di vista e il 2019 potrebbe essere un anno fondamentale per alcuni “segnali” che sto aspettando.
6) Data la tua esperienza come imprenditore, consulente aziendale, autore del libro ‘Growh Hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo business’ e dopo aver dato il tuo contributo al libro di Massimo Ciaglia ‘The Startup Canvas. Il metodo per trasformare una idea in un successo sicuro’, cosa ne pensi dell’innovativo canvas ideato da Ciaglia appositamente per le startup per guidarle nella loro fase di sviluppo e scale up?
Conosco Massimo da diversi anni e ammetto che quando mi ha mostrato il Canvas ero un po’ scettico, perché negli ultimi anni c’è stato un proliferare di Canvas, dalla dubbia utilità.
Gli ho chiesto quindi di farmelo vedere in azione attraverso qualche caso studio e li ho visto le potenzialità dello strumento. Riesce ad avere un approccio olistico al ciclo di vita di una startup aiutando l’imprenditore a tenere tutto sotto controllo come se fosse una vera e propria dashboard di comando.
La cosa più interessante a mio avviso è il fatto che non vada in contrasto con gli altri canvas, ma si pone ad un livello di astrazione superiore. Quindi, se vuoi, puoi scendere nel dettaglio usando uno dei canvas classici, ma senza perdere la visione d’insieme.
Se ancora non l’hai fatto,